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Il Soffio della Vita

2025-11-26 17:21

Lia Courrier

Approfondimenti yoga,

Il Soffio della Vita

Il Soffio della Vita

PRANA

Chiunque abbia avuto un contatto anche fugace e sporadico con lo Yoga riconosce nella parola sanscrita Prana il significato stesso di respiro. Analogamente, la pratica yogica indicata come Pranayama viene spesso percepita come un allenamento metodico per disciplinare l’atto di respirare attraverso esercizi specifici che hanno un certo tipo di effetto sul corpo fisico. Questo tipo di associazione non è del tutto errata, ma potremmo considerarla incompleta perché, se certamente esiste una correlazione tra il Prana e il respiro, è vero che con questa parola si indica qualcosa di molto più vasto, misterioso e potente che non ha a che fare solo con l’atto di respirare. Tuttavia, quello del respiro, è un processo estremamente raffinato e affascinante, che avremo modo di approfondire in questa occasione e che merita di assurgere al primo posto nella nostra personale classifica dei territori da esplorare.

B.K.Iyengar, il grande Maestro, autore di uno dei libri più tradotti in tutto il mondo, “Light On Yoga”, nonché anche di “Teoria e pratica del Pranayama”, ha dichiarato di trovare particolarmente arduo spiegare a parole cosa sia il Prana. Secondo la sua esperienza, nel momento in cui invitiamo il Prana ad entrare nel nostro corpo, attraverso l’inspirazione, il sé individuale deve farsi da parte per lasciare spazio all’anima: in questo modo l’energia comincia ad espandersi e la consapevolezza ad aumentare. Questo già basta a farci intuire le implicazioni che una profonda osservazione del respiro comporta nella relazione con noi stessi, con gli altri, con il mondo. Con Prana, quindi, non si deve intendere l’aria che respiriamo, ma quell’energia che sottende ad ogni elemento del Creato, che sostiene la manifestazione non solo di ciò che è visibile ma anche dell’invisibile: le idee, le nostre azioni, i pensieri, le scelte che facciamo, l’intelletto individuale e quello collettivo. Anche il concepimento di una nuova vita avviene grazie al Prana e, una volta affrontata la complessa fase dell’embriogenesi, dal momento stesso in cui si viene al mondo, è di grande importanza prendersi cura e preservare la carica pranica nel miglior modo possibile, per consentire al nostro metabolismo e ai nostri campi sottili di nutrirsi da questa sorgente originaria, mantenendo il nostro sistema in un equilibrio omeostatico.

 

Alla luce di questa succinta analisi iniziale, possiamo quindi affermare che la prima traduzione di questo termine dovrebbe essere “vita” e, solo secondariamente, “respiro”.
Le modalità con cui è possibile introdurre Prana nel corpo sono molteplici: attraverso il cibo che mangiamo, che dovrebbe essere vivo e vitale, con una dieta principalmente vegetale e naturale, alimenti poco processati e con il minor numero possibile di sostanze chimiche presenti nelle varie fasi della filiera produttiva. In questo ambito la lingua rappresenta l’organo principale (ancora più di stomaco e intestino) per l’assorbimento di Prana, con la sua capacità di sentire il sapore degli alimenti e quindi percepire la loro carica. Un’altra modalità è attraverso l’acqua che beviamo, che dovrebbe essere di fonte, pura e in movimento. Poi abbiamo il Prana solare, fatto di luce, energia e calore, che può essere assorbito dalla pelle, attraverso un processo simile a quello della respirazione: in una fase assorbiamo la radianza solare e in un’altra espelliamo le tossine in forma di vapore acqueo. L’ultima, ma principale modalità di introduzione del Prana è proprio il respiro. Gli organi preposti sono il naso e i polmoni: in 24 ore dal nostro naso transitano circa 13mila litri di aria, una quantità enorme rispetto a qualche pasto e un paio di litri di acqua, non ci sono dubbi su quale sia il nostro canale di approvvigionamento principale.

Per chi vive in città soddisfare la quotidiana richiesta di Prana non è propriamente semplice, perché il cittadino si nutre principalmente di cibi che hanno percorso diversi chilometri prima di giungere sulla tavola, magari sono anche stati congelati, trattati e processati in varie fasi della filiera produttiva. La qualità dell’acqua, che sia del rubinetto o acquistata al supermercato, è tutt’altro che buona. Specie quella imbottigliata, potrebbe forse essere pura all’origine, alla sorgente, ma poi viene stoccata all’interno di contenitori di plastica per chissà quanto tempo e quindi si tratta di un’acqua “ferma”, le cui caratteristiche sono molto diverse rispetto alla condizione in cui si trova in natura: in perpetuo movimento, ossigenata e ricca di Prana. L’aria che si respira nella maggior parte delle città non è certo salubre, per questo sarebbe opportuno recarsi spesso in natura, in zone con ampi spazi aperti e ventosi in cui è possibile “caricare le batterie”. Quando il Prana scende al di sotto di una certa soglia, condizione che si può manifestare anche per cause che esulano dal contesto ambientale, come ad esempio quando percepiamo una minaccia alle nostre risorse o a seguito di un trauma (fisico o emotivo), può sorgere una sensazione di apatia, stanchezza, scarsa concentrazione, pensieri ricorrenti, difficoltà a uscire da schemi mentali affossanti, carenza di energia fisica e mentale e scarsa di voglia di fare, proprio come quando le batterie stanno per scaricarsi e il dispositivo che dovrebbero alimentare rallenta fino a fermarsi.

Da qui possiamo comprendere l’importanza di una scienza come quella del Pranayama, che ci consegna gli strumenti necessari per sviluppare controllo e sensibilità in questa funzione speciale che è l’atto di respirare. Non solo, quando ci dedicheremo costantemente e quotidianamente a questa pratica (meglio se guidati da un maestro) e saremo pronti, il Pranayama potrà creare una connessione tra il sé individuale e l’anima universale, costituendo un importante ponte tra la nostra natura terrena e la nostra origine divina. Se praticato con costanza ed entusiasmo, il Pranayama può donare vitalità al nostro intero essere, una presenza energicamente equilibrata, potente e radiante, che sarà d’aiuto non solo a noi stessi ma anche agli altri.

Le nostre sono vite programmate, dove tutto diventa presto routine. Ci sentiamo chiamati a rispondere alle aspettative del nostro capo o della nostra famiglia, agli impegni di lavoro, alle scadenze, ai conti da pagare, vite talmente piene che persino la mondanità e gli amici diventano - a volte - l’ennesima incombenza di cui preoccuparsi. La pratica del Pranayama può aiutarci a creare la giusta distanza da tutto questo fermento sulla superficie dell’esistenza, che ci distrae e ci sovrasta, trovando un punto fermo e solido su cui fare affidamento per inabissarci verso maree più lunghe e profonde. La pratica quotidiana diventerà un appuntamento atteso a cui anelare, per scandire la nostra giornata donandoci la quiete di cui abbiamo bisogno, per rigenerare e nutrire il sistema, per poi tornare al mondo rinnovati e pronti ad accogliere.

 

Nello yoga esiste un termine, Samskara, che indica la traccia delle nostre azioni passate e ripetute, possiamo visualizzare i Samskara come solchi che vengono scavati giorno dopo giorno. Immagina un calesse che passa attraverso una strada battuta: all’inizio il calesse può andare dove vuole nel seguire la strada, ma se per qualche giorno le sue ruote passeranno sempre sugli stessi punti, cominceranno a scavare dei solchi, e quanto più percorreranno esattamente lo stesso punto, tanto più sarà difficile, se non impossibile o addirittura pericoloso, uscire da quel tracciato. Il calesse a quel punto sarà obbligato a passare solo e sempre dentro ai solchi, senza più disporre della libertà di movimento e senza poter sperimentare qualcosa di diverso, fino a che saranno così profondi da bloccarlo. Ovviamente non tutti i Samskara vanno considerati come elementi di afflizione, abbiamo infatti la possibilità di costruire consapevolmente dei Samskara virtuosi per promuovere buone abitudini, con l’intenzione di sostituire i vecchi programmi con altri più efficaci, propositivi e adatti a quello specifico contesto che stiamo vivendo. La nostra mente funziona un po’ come il calesse, può rimanere incastrata nei solchi lasciati dalle azioni ripetute, negli schemi mentali che ingabbiano, nell’incapacità di guardare la realtà cogliendo visioni diverse da quelle consuete o da ciò che crediamo essere l’unica verità possibile. Il Pranayama aiuta la mente recuperare la libertà di movimento, dissolvendo i Samskara, sia recenti che antichi, donandoci quella “mente di principiante”, descritta da Shunryu Suzuki-Roshi, in grado di conservare lo stupore e una curiosità genuina e autentica, non finalizzata ad un risultato, non tesa ad un obiettivo. Questo darà armonia all’intero essere, la capacità di sapersi adattare al contesto, di individuare soluzioni agli ostacoli o accogliere un cambio di itinerario, mantenendo lucidità, presenza e discernimento. È grazie ad una pratica come il Pranayama che il nostro potenziale potrà finalmente esprimersi pienamente, poiché una mente libera e capace di stabilizzarsi senza distrazioni, è in grado non solo di vedere le opportunità che costantemente ci circondano ma persino di agire sulla materia: il pensiero è energia creatrice e realizza il mondo che sogniamo.

 

STRUMENTO DI UNIONE

Com’è possibile che, attraverso esercizi di respirazione, si possa arrivare a modificare la mente o addirittura trasformare il mondo in cui viviamo? Considero lo Yoga una vera e propria scienza, di cui, però, è necessario fare esperienza in prima persona, per avanzare sul cammino. Nel momento in cui avviene questo innamoramento nei confronti della pratica e, di conseguenza, ci si dedica ad essa con costanza, ardore e fiducia, si può essere toccati da momenti di abbacinante chiarezza in cui i dubbi vengono dissolti dalla potente luce rischiaratrice della rivelazione. Non sono in possesso di risposte alla domanda che apre il paragrafo, o meglio, ho le mie personali deduzioni ottenute attraverso la pratica svolta finora, ma raccontare queste conclusioni personali vorrebbe dire dare in pasto cibo già masticato, digerito ed escusso. Questo avrebbe senso solo per me, e di nessuna utilità per il lettore, a cui non mi resta che rivolgere un invito ad avventurarsi da solo su questo sentiero, senza fretta, senza obiettivi e senza aspettative.

Di qualcosa, però, possiamo parlare per osservare più da vicino questa funzione magica che ha il potere di mettere in una relazione integrata tutti i “mondi” da cui siamo composti, un po’ come fa il tessuto connettivo nel corpo fisico.
Consideriamo il processo del respiro come una “terra di mezzo”: inspirando facciamo entrare l’energia del cosmo nel nostro corpo e, durante l’espirazione, restituiamo qualcosa al mondo, ristabilendo un equilibrio nella ciclicità del perpetuo dare e ricevere. È così che l’ambiente interno e quello esterno intrattengono un dialogo incessante attraverso la marea che si espande e si ritira in ogni istante della nostra vita, dalla nascita fino a quando esaleremo l’ultimo respiro. La funzione del respiro appartiene al campo del sistema nervoso neurovegetativo, questo vuol dire che per la maggior parte della nostra giornata respiriamo senza la necessità di dovercene preoccupare, ma rientra anche nel sistema nervoso volontario, dal momento che possiamo agire su questa attività (a differenza della peristalsi, ad esempio) e, attraverso il controllo di questa funzione, influire sugli altri sistemi. Il modo in cui il nostro respiro avviene al di sotto della soglia della nostra consapevolezza è qualcosa che ha del miracoloso e vale la pena prendersi un istante per raccontarlo. Nel nostro cervello più antico, quello rettile4, deputato alle funzioni vitali basiche, precisamente in quella struttura che chiamiamo Midollo Allungato, risiede un dispositivo che letteralmente “legge” i livelli di anidride carbonica nel sangue che scorre nei vasi che passano in quella regione. Quando si arriva ad una saturazione, il sistema nervoso invia dei segnali per indurre il bisogno di inspirare, ed è così che, praticamente a nostra insaputa, il nostro corpo si assicura ossigeno e Prana ininterrottamente.

Attraverso la tecnica del Pranayama possiamo promuovere, nella nostra vita, uno stato generale di equilibrio e salute. È doveroso precisare che, in un simile contesto, con la parola salute non si deve intendere necessariamente assenza di sintomi o benessere prettamente fisico, ma uno stato di presenza stabilmente radicata nell’eterno istante che chiamiamo “qui e ora”, con la capacità di muoversi in armonia con il contesto, qualunque esso sia. La guarigione spirituale ci dona la grazia e la forza per attraversare persino quelle desolate lande dominate da dolore, sofferenza, disorientamento e stanchezza, momenti che fanno parte della vita stessa e a cui, come disse anche Buddha, non ci è dato sottrarci. Possiamo però modificare la relazione con questi eventi, passeggeri e transitori come tutto ciò che appartiene al mondo fenomenico, stabilendo una solida connessione con quella parte di noi che rappresenta la sorgente pura, l’essenza più profonda, la quiete dinamica che dimora nella stanza segreta del nostro cuore. Quella parte di noi, insomma, che è immutabile, intoccabile, inviolabile. Il sentiero per raggiungere questo luogo è fatto di disciplina, ascolto, umiltà, metodo e respiri consapevoli.

 

BIOMECCANICA DEL RESPIRO

“Per mezzo mio vivete e per mezzo mio morite. Nelle mani ho potere di vita e di morte. Imparate a conoscermi e siate felici”

 

Così Andrew Taylor Still, padre dell'Osteopatia, diede voce e pensiero al diaframma, muscolo protagonista dell’atto respiratorio. Dietro a questa frase, così teatrale e ad effetto, si cela una grande verità che riguarda il ruolo della respirazione nel mantenimento di una buona salute del corpo, della mente e dello spirito.

La nascita della pulsazione, il movimento di espansione e di contrazione che chiamiamo inspirazione ed espirazione, è stato un passaggio fondamentale per lo sviluppo della vita sul pianeta, come caratteristica peculiare di tutti gli organismi pluricellulari. Gli esseri monocellulari, infatti, utilizzano il processo osmotico per lo scambio di informazioni chimiche, attraverso l'organo della membrana.

Il movimento del respiro non è bi-fasico ma avviene in quattro tempi: una inspirazione, una piccola pausa, una espirazione e una grande pausa. Queste pause, in cui si sperimenta la sospensione in assenza di direzioni (non inspiro e non espiro), sono molto importanti nella scienza dello Yoga applicata al respiro: uno degli scopi del Pranayama è infatti la ritenzione del respiro, e le storie di yogin sono piene di leggende di asceti in grado di sospenderlo per ore se non per giorni. Senza andare troppo lontano, possiamo ricordare che anche molti famosi apneisti utilizzano il Pranayama per prepararsi alle immersioni: dal punto di vista strettamente bio-meccanico, si tratta di tecniche che permettono un ampliamento della capacità polmonare e il raggiungimento di quella sospensione che è alla base della pratica dell’immersione in apnea. L’abilità nel gestire il cambiamento della pressione interna del corpo, infine, aiuta chi pratica questo tipo di attività a controllare meglio la compressione data dall’acqua a grandi profondità. Secondo una buona parte di approcci al corpo provenienti da Oriente, noi veniamo al mondo con un numero preciso di respiri, una volta finiti quelli la nostra vita è giunta al momento del grande passaggio. Ciò che avviene dopo non ci è dato saperlo, esistono diverse teorie a riguardo tra chi crede nel sistema della ciclicità delle nascite con un’anima che trasmigra da un corpo all’altro (come gli indiani) o chi invece crede nel riassorbimento in uno stato di non-forma senza nessun nucleo a preservare alcuna memoria (cinesi), ma ciò che ci interessa qui è che la ritenzione del respiro, alla luce di questo assunto, diventa un modo per prolungare e preservare questo carico così prezioso, facendo della nostra una vita lunga e in salute.

Il protagonista assoluto di questo movimento è ovviamente lui: il diaframma respiratorio. Questo imponente e maestoso muscolo ha una forma a doppia cupola e si inserisce lungo tutto il bordo interno e inferiore della gabbia toracica per poi affondare i suoi pilastri nella parte anteriore della colonna lombare.

Il diaframma si espande sul piano orizzontale dividendo in due ambienti il canale viscerale: il cuore e i polmoni, condividono l’attico di sopra, con il diaframma a fare loro da pavimento, mentre tutti gli altri organi abitano al piano di sotto. Cuore e polmoni suonano una musica divina (il cuore scandisce il ritmo e i polmoni l’armonia) su cui tutto il resto del corpo danza.

È importante ricordare che nel nostro corpo è la funzione che crea la forma, e questo aspetto a doppia cupola del diaframma non fa eccezione: la sua forma fornisce al cuore un letto comodo, che non sia soggetto a movimenti troppo pronunciati durante la respirazione. Il centro frenico del diaframma è una regione, interamente composta da tessuto tendineo, sito nel punto in cui le due cupole (che non hanno la stessa ampiezza poiché si adattano alla disposizione e dimensione degli organi con cui vengono a contatto) si incontrano. Il pericardio, ossia il sacco di fascia che avvolge il cuore, è in continuità tessutale con le fibre del diaframma, così il cuore giace stabilmente sul suo trono, dolcemente cullato dal movimento del respiro (che avviene tutto attorno, dove si trovano le fibre muscolari contrattili e molto meno nel centro frenico), protetto dal suo Ministro5 e massaggiato dai polmoni ogni volta che questi aumentano di volume. Un vero e proprio tango di passione avviene nel nostro torace ad ogni respiro.

Il diaframma nasce dai recessi più reconditi del nostro essere, non è solo uno dei muscoli più profondi, ma anche “interiori”, poiché vive una intima relazione con la nostra emotività. Per fare un esempio, di cui tutti noi abbiamo fatto esperienza almeno una volta, basta pensare a cosa accade al respiro quando incontriamo una persona che ci sta molto a cuore: lo sentiamo salire nel petto, accelerare leggermente e stringere delicatamente la gola, con la sensazione di essere come sollevati da terra. Così le emozioni trovano una risposta somatica in questa struttura: in una condizione di normalità questo accade temporaneamente, poiché il respiro si adatta istante dopo istante al contesto, consentendoci praticamente di vivere, ma può anche accadere che alcuni eventi, particolarmente intensi, possano rimanere “fissati” nella struttura fino al punto di sedimentarvisi stabilmente. Un gran numero di persone ha una respirazione che non si esprime al massimo potenziale, a causa di postura, abitudini, o aderenze nella fascia, ad esempio, ma può anche essere una conseguenza della somatizzazione di questi eventi traumatici che, se non vengono visti, osservati e affrontati, rimangono impressi nella qualità di movimento di questo muscolo così importante.
Il caratteristico movimento del diaframma respiratorio, durante un intero ciclo, si esprime in due fasi: durante l’inspirazione si contrae per scendere verso il bacino, aprendosi e appiattendosi, mentre con l’espirazione si rilascia e risale verso la testa, rendendo più acuto l’arco della sua cupola (sappiamo che sono due, ma per semplificazione in questo contesto lo considereremo come una unica cupola). Ricorda un po’ il movimento di una medusa, che pulsa ritmicamente per spingersi nell’acqua, e nel compiere questa pulsazione il nostro diaframma comprime dolcemente gli organi che stanno al di sopra e al di sotto, dissipando eventuali ristagni di fluidi e mantenendo l’”acquario interiore” sempre pulito e in movimento.
Nel suo viaggio il diaframma intrattiene delle relazioni con molte altre strutture, tra cui un altro muscolo che occupa una regione altrettanto profonda del nostro corpo: lo psoas. Lo spostamento dalla condizione di quadrupede (anche se forse sarebbe meglio dire quadrumane) alla stazione eretta e bipede (se prestiamo fede alla teoria dell’evoluzione Darwiniana) ha portato alla necessità di apportare delle modifiche alla fisiologia per permettere alla cavità viscerale di mantenere un buon funzionamento nella nuova relazione con la forza di gravità, specialmente in tutto l’anello attorno alla vita, nella connessione fasciale tra addome e zona lombare e da lì anche verso l’area del perineo.


Tom Myers, autore di “Anatomy Trains”, attraverso l’osservazione in laboratorio (dissezioni), ha notato che il diaframma e il grande psoas, sebbene considerati come due strutture separate sui libri di anatomia, dal punto di vista fasciale presentano continuità, formando una unità funzionale. Ha chiamato questa imponente struttura il “cobra interiore”6, poiché la forma delle linee di forza che vengono trasmesse attraverso le fibre in continuità di questi muscoli ricorda proprio questo animale. Abbiamo un cobra su ogni lato del corpo, ed ognuno di questi stringe la propria coda attorno al collo del femore (lo Psoas si inserisce proprio nel piccolo trocantere), mentre il suo corpo risale lungo il grande Psoas all’interno della cavità viscerale, per poi spingersi nella cavità toracica e aprire il proprio “cappuccio” a formare la cupola del diaframma. L’unità funzionale composta da Grande Psoas e Diaframma è ciò che ci mantiene in stazione eretta, consentendo alle forze biodinamiche che attraversano il corpo di essere distribuite in modo bilanciato. Quando questa struttura è in buone condizioni di salute, non abbiamo bisogno di addominali così potenti per mantenere correttamente la postura, poiché questa forza viene generata dall’interno, dalla parte più profonda del nostro corpo, donando ad ogni movimento controllo e fluidità e, al contempo, mantenendo supporto e funzionalità agli organi. Liz Koch chiama lo psoas il “muscolo dell’anima”, questo può farci intuire intuire quanto diaframma e psoas siano strutture sinergiche, in una relazione di reciproco supporto e bilanciamento che non riguarda solo il corpo fisico ma anche i campi sottili. Le fibre del diaframma provenienti dalle cupole, dall’alto, incontrano quelle dello psoas che provengono dal basso, fondendosi proprio al centro del nostro corpo, con la benedizione del respiro che, con il suo movimento pulsatorio, trasmette dinamica e ritmo, non solo al cobra ma a tutto il corpo. In modo analogo, le energie alte di Prana e quelle basse di Apana si bilanciano a metà, in prossimità di questo luogo anatomico in cui i due muscoli intrattengono questa intima relazione: il corpo fisico e quello energetico8 vibrano alla stessa frequenza.

 

L’EFFETTO RISUCCHIO

Quando il diaframma si muove verso il basso, contraendosi durante l’inspirazione, si produce un cambiamento nella relazione tra la pressione esterna e la pressione interna al corpo, per cui l’aria viene letteralmente “risucchiata” all’interno attraverso il naso o la bocca. I polmoni quindi offrono la possibilità all’aria di occupare gli spazi liberi contenuti al loro interno: i bronchi e poi i bronchioli, canali sempre più piccoli fino ad arrivare a queste piccole camere d’aria di dimensione sferica o esagonale, chiamate alveoli, avvolte da una minuscola rete di capillari che, a dispetto delle dimensioni ridotte, offre una vastissima superficie attraverso cui gli scambi gassosi possono avvenire. Qui il sangue viene ossigenato e i prodotti di scarto vengono preparati per essere eliminati con l’espirazione. Da qui in avanti comincia il processo chiamato Respirazione Interna, ossia l’utilizzo dell’ossigeno immagazzinato per la vita metabolica delle cellule che, tramite combustione, produrranno nuovi materiali di scarto ed è così che un nuovo ciclo può ripartire.

Normalmente, quando pensiamo ad una struttura protettiva, almeno nell’ambito dell’architettura, ci immaginiamo grosse mura realizzate in materiali indistruttibili come ferro e cemento, cinte di protezione, ponti levatoi e fossati. L’aspetto interessante del nostro corpo è che le soffici spugne dei polmoni, che necessitano continuamente di cambiare il proprio volume, hanno richiesto lo sviluppo di una struttura protettiva efficace ma che fosse anche leggera e mobile, ossia la gabbia toracica. Il tessuto osseo, più denso e resistente, si adatta quindi alle richieste dei tessuti morbidi, attraverso un'architettura fatta di pieni e di vuoti e di tante articolazioni che consentono una discreta capacità di cambiare forma. Ogni costa interagisce anteriormente con lo sterno e posteriormente con la vertebra corrispondente, compiendo un movimento chiamato “a manico di secchiello”, sollevandosi e abbassandosi ad ogni ciclo di respiro per consentire alla camera toracica di aumentare il proprio volume.

Pur considerandolo l’attore principale, il diaframma non agisce da solo ma coadiuvato da tanti piccoli assistenti come, ad esempio, i muscoli intercostali. Questi occupano lo spazio tra una costa e l’altra, in una disposizione a doppio strato, interni ed esterni, con le fibre disposte in direzioni complementari sulle due diagonali. La loro funzione è proprio quella di agire per aumentare il volume della cavità toracica durante l’inspirazione, consentendo alle coste di sollevarsi. Anche i muscoli che elevano le clavicole e le scapole contribuiscono a questo costante adattamento alle richieste provenienti dai tessuti più soffici.

I due polmoni non sono perfettamente uguali: il polmone destro è leggermente più grande del sinistro, poiché il cuore è situato al centro ma leggermente spostato verso sinistra. Per questo motivo il polmone destro è diviso in tre lobi, mentre il sinistro ne ha soltanto due. Il riempimento avviene dal basso verso l’alto e normalmente i respiri che si compiono durante la giornata in fase di riposo, prevedono uno spostamento minimo del diaframma, che si alza e si abbassa di pochi centimetri, in media 2,5. Se il nostro obiettivo è stimolare la totalità dei tessuti polmonari, abbiamo bisogno di fare inalazioni più profonde e lunghe, permettendo all’aria di arrivare a riempirne gli apici, sfiorando le clavicole. Allo stesso modo è molto raro che si espiri completamente svuotando fino all’ultima goccia d’aria, per farlo è necessario “spremere” bene le spugne contraendo leggermente addominali e pavimento pelvico.

Se ne evince facilmente come, sebbene nella maggior parte della giornata il respiro avvenga nella sfera del neurovegetativo mentre la nostra mente razionale è impegnata in altre faccende, eseguire metodicamente degli esercizi specifici per migliorare la funzionalità e la consapevolezza di questa funzione così importante, porti benessere all’intero organismo in ogni suo aspetto fisico, emozionale, psichico e spirituale.

 

UN CUORE COERENTE

Nella Medicina Cinese il cuore è l’Imperatore. Esiste una metafora per comprendere il suo ruolo di regnante imparziale, in cui viene paragonato ad un vaso che deve sempre rimanere vuoto. È un’antica storia d’amore quella tra le filosofie orientali e il concetto di vuoto, un vuoto che non è assenza, ma si avvicina più all’idea di un luogo in cui tutto è già presente nello stato di non- forma, di potenziale ancora non espresso, non raddensato in materia. Quindi questo vuoto-non- vuoto è un luogo-non-luogo, neutro, senza qualità, senza direzioni e senza tempo. La metafora del vaso è interessante, quando noi acquistiamo un vaso lo facciamo proprio per lo spazio vuoto che contiene al suo interno e non per la ceramica che ne definisce i confini; è lo spazio vuoto che poi andremo ad utilizzare, è lì l’utilità del vaso e, nel momento in cui abbiamo bisogno di usarlo, se non lo è già, dovremo prima provvedere a svuotarlo.

Swami Joythimayananda ci dona una descrizione molto chiara del cuore:

“Una Grande Madre generosa e altruista che continua a lavorare per trasformare il sangue, purificandolo con l'aiuto dei polmoni, per dare nutrimento alle cellule, ai tessuti e al corpo, praticando costantemente e senza sosta la forma più pura di non attaccamento, poiché tutto ciò che entra nel cuore passa, senza soffermarvisi, per uscirne immediatamente. Riceve e dona continuamente”.

Questo vale per il sangue, ma anche per tutto ciò che riguarda la sfera emotiva, perché quando il cuore gode di salute fisica ed energetica nulla vi ristagna all’interno. Nel momento in cui, invece, un'emozione vi rimane intrappolata, l’intera esistenza sarà osservata attraverso quella lente e, di conseguenza, non sarà più possibile conservare lucidità e discernimento.

Il sistema respiratorio e quello cardiovascolare lavorano in profonda e intima sinergia, non a caso si trovano a condividere l’”attico” al piano di sopra, nel condominio del torso, ed è proprio in virtù di questa stretta relazione che possiamo ottenere una buona coerenza cardiaca attraverso un controllo cosciente del ritmo respiratorio. Quella per la coerenza cardiaca è una semplice pratica che ha proprio questo obiettivo, accessibile a tutti e per la quale non occorre imparare nulla di particolare perché tutto ciò di cui abbiamo bisogno è già presente nel nostro corpo.

Il cuore non è semplicemente una pompa, come viene riportato in molti testi di anatomia per estrema semplificazione, ma un importantissimo organo di senso che, attraverso il suo battito comunica e parla con tutto l'organismo. I coniugi Lacey per primi, negli anni '60 del secolo scorso, si accorsero che il sistema cardiovascolare sembrava presentare una intelligenza intrinseca ed una sua autonomia funzionale. Fu poi il il dottor Andrew Armour , in un articolo dal titolo “The Little Brain of the Heart”, a svelare nuovi aspetti di questo organo, dimostrando la presenza di un “piccolo cervello” del cuore, costituito da una fitta presenza di neuroni in grado di inviare informazioni sensoriali direttamente al cervello. Gli studi più recenti hanno messo in discussione l’egemonia del cervello come unico sistema nervoso esistente nel nostro organismo. Oltre a quello scoperto dai coniugi Lacey, relativo al cuore, esiste infatti anche un sistema nervoso enterico, sito nell’intestino, che si è oggi guadagnato il titolo di “secondo cervello”, come recita il titolo di un famoso libro. Si tratta di reti neurali indipendenti, che collaborano e comunicano con il sistema nervoso centrale, ma che possono anche dare indicazioni al cervello, il quale può trovarsi a eseguire le richieste provenienti da questi sistemi, considerati secondari, ma che secondari non sono affatto.

La qualità della voce del cuore armonizza i due rami del sistema autonomo, simpatico e parasimpatico, consentendo a queste due parti di mantenersi in un equilibrio dinamico. Una buona variabilità dei battiti indica la presenza di coerenza cardiaca, poiché il cuore è in grado di modificare il suo battito in relazione agli eventi, per poterli gestire in modo appropriato.
La pratica per il respiro coerente consiste nel cercare di rendere uguali, in termini di durata e intensità, le fasi di inspirazione ed espirazione, da un minimo di sei ad un massimo di nove secondi. Esistono moltissimi video, appositamente creati e facilmente reperibili online, che hanno per contenuto un metronomo per potersi esercitare, con musiche e immagini che promuovono il rilassamento. Il consiglio che posso dare al lettore, se non è ancora il momento giusto per intraprendere un percorso con il Pranayama, è quello di trovare momenti, durante la giornata, in cui sedere comodamente (se non si ha modo di sedere a gambe incrociate a terra si può stare su una sedia, basterà attuare l’accortezza di non sedersi in fondo ma sul bordo della seduta, per mantenere la colonna vertebrale ben eretta) e praticare la respirazione per la coerenza cardiaca per almeno cinque minuti. Se si manifesta la tendenza a dimenticarsene, perché ancora non si è formata quella abitudine virtuosa che porta a praticare con costanza (il Samskara virtuoso), una possibilità è quella di puntare una sveglia ogni due o tre ore e, ogni volta che suona, dedicare cinque minuti alla pratica, qualsiasi cosa si stia facendo: si potranno percepire fin da subito gli effetti positivi irradiarsi ed una piacevole sensazione di benessere, rilassamento e vitalità pervadere il corpo, in modo sempre più durevole.
Alcuni studi hanno evidenziato che la pratica per il respiro coerente ha effetti profondi e permanenti persino in chi soffre di ipertensione, proprio ad indicare come, attraverso il controllo cosciente e consapevole del respiro, possiamo agire anche sugli altri sistemi. È possibile incontrare delle difficoltà iniziali nell'eseguire la respirazione per la coerenza cardiaca; forse il diaframma e la muscolatura del tronco si trovano in una condizione di irrigidimento, inviando sensazioni anche dolorose, oppure può capitare di non riuscire ad espandere sufficientemente il torace per far entrare più aria e riempire pienamente i polmoni. In questi casi consiglio di eseguire qualche esercizio di allungamento prima di sedersi a respirare, per sciogliere le resistenze e permettere al movimento di avvenire fluidamente sempre più in profondità. Se non è ancora arrivato il momento di intraprendere un percorso con lo Yoga Asana, esistono altre pratiche alla portata di tutti da fare in assoluta autonomia, come ad esempio i Makko-ho, esercizi di stretching dei meridiani, utilissimi allo scopo e benefici per tutto l’organismo, un ottimo strumento per preparare il corpo a respirare pienamente. Il passo successivo sarà, infine, quello di condividere questo sapere con altre persone, per diffondere il benessere e per sostenersi nella pratica quotidiana.

 

CONCLUSIONI

In ogni ciclo di respirazione è contenuto il ritmo dell’universo: creazione, conservazione e riassorbimento, ma anche il ritmo dell’esistenza individuale, ossia nascita, vita e morte.
Ogni inspirazione è il sorgere del Sole, Surya, un nuovo giorno che inizia. Il nostro torace cresce e si espande in tutte le direzioni, l'energia vitale entra in noi virile, dorata, illuminando, portando nutrimento, speranza, intelligenza, novità, progetti, desideri e la forza per realizzarli. Al culmine massimo di questo riempimento tutto si sospende per un tempo infinitamente piccolo, come quando una palla viene gettata in alto e, prima di ricadere, rimane ferma in aria per un impercettibile istante in cui non riesce ad andare più su ma, al contempo, non ha ancora cominciato la discesa.

L'espirazione è il calare della sera, è Chandra, la Luna, tutto il corpo si richiude verso il suo centro, bagnato da una luce argentea, per guardarsi dentro e ritrovarsi. Questo è il momento in cui ci viene chiesto di lasciare andare, di praticare il non attaccamento, di liberarsi del non necessario, che appartenga alla sfera fisica, psichica o emozionale. Durante l'espirazione possiamo immaginare tutto questo bagaglio ormai inutile emanarsi dal corpo, dalla pelle, dalla mente, evaporare lontano come fumo che si disperde verso l’orizzonte fino a sparire. È proprio in questo luogo che, con un’attitudine recettiva tutta femminile, possiamo fare di noi uno spazio nuovamente vuoto, pronti per essere ancora riempiti dall’energia che viene dal cosmo. Esiste una grande e profonda fiducia nell'atto di espirare, certi che subito dopo un nuovo sole sarà già pronto a brillare ed una nuova alba a impregnare ogni nostra cellula di nuove possibilità.

Il diaframma, come un equatore, cadenza la partitura musicale che narra dell’alternanza del giorno e della notte, ergendosi imponente all'interno del nostro corpo, come la linea di contatto tra cielo e mare, sostenendoci instancabile ora dopo ora, minuto dopo minuto. È così che il miracolo della respirazione si irradia per tutto il corpo, dalla calotta cranica alla punta dei piedi: una danza perpetua che è sempre lì, ma a cui non sempre prestiamo la dovuta attenzione. Inspira...

Espira... Ecco: la vita.

 

In copertina: Suzuki Harunobu, c. 1767/68
Correzione bozze e revisione: Emanuela Botti
Ringrazio tutti i maestri che mi hanno trasmesso queste conoscenze, sia quelli che ho conosciuto di persona che coloro da cui sono stata raggiunta attraverso la loro opera di scrittura.
Così come ricevo, allo stesso modo riconsegno attraverso la trasmissione, affinché il ciclo possa continuare.