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Pratico yoga. Ma che vuol dire?

2025-12-02 16:48

Lia Courrier

Approfondimenti yoga,

Pratico yoga. Ma che vuol dire?

Una breve riflessione su cosa è per me lo yoga e trasmettere questi insegnamenti.

Sono una praticante di Yoga, così come tante altre persone che si sono sentite chiamate su questo sentiero. Non per tutti, però, lo Yoga ha lo stesso significato, specialmente per chi come me ha ricevuto la trasmissione in Occidente, filtrata attraverso punti di vista, esperienze umane tra le più disparate. Cosa rimane della purezza di questi insegnamenti, per noi che li riceviamo attraverso il tempo e lo spazio?

 

Qualcuno ha detto: 
“Se non conosci la tradizione non puoi comprendere cosa sia lo yoga”.
Quando si parla di tradizione, tuttavia, è molto difficile definirne i contorni entro confini netti, persino per gli indiani la parola Yoga, così come la parola Tantra, sono da considerarsi termini-cappello sotto ai quali è possibile posizionare un’enorme vastità di dottrine, tecniche, insegnamenti anche molto distanti tra loro, se non addirittura in reciproca contraddizione.
L’antica saggezza indiana conosce molto bene la relatività dell’esperienza umana, nella quale l’unica verità certa è che non esiste una sola verità, ma molteplici, tante quante sono le individualità che osservano lo stesso oggetto.
Solo quando riusciamo ad andare oltre questa moltitudine, quando riceviamo la benedizione di sviluppare uno sguardo che sappia vedere al di là del velo, dove il mondo dei nomi e delle forme comincia a vacillare, allora possiamo intuire quella verità ultima che accomuna tutte le dottrine, tutte le religioni, come una radice.
La cosa si complica.
Cosa vuol dire essere praticanti di yoga oggi?
 

Per cercare di trovare il bandolo di questa inestricabile matassa osservo la domanda fondamentale che lo yoga pone: chi siamo veramente?
La scienza dello yoga risponde a questa domanda in un modo che potrebbe essere straniante e disorientante per chiunque sia al primo contatto con questa scienza.
Noi non siamo il nostro corpo.

Non siamo i nostri pensieri.
Il nostro nome, la nostra famiglia, il luogo in cui siamo nati non definiscono chi siamo.
Nè la nostra cittadinanza, i documenti, il nostro conto in banca.
Noi non siamo il nostro lavoro o i nostri titoli di studio.
Non siamo neanche il nostro respiro, dal momento che possiamo vedere la realtà solo quando Atman (l’anima) si stacca dal respiro.
Tutto questo appartiene alla sfera del piccolo ego, ossia proprio quel costrutto psichico e fisico che lo yoga mira a dissolvere.

Quindi? Chi o cosa siamo?
Lo Yoga ci dice che siamo SAT, CHIT, ANANDA.
Sat, ossia verità, ma anche presenza, esserci con tutta la nostra presenza e vitalità nel qui ed ora. Possiamo pensare che nel tornare a questo aspetto della Verità ritorniamo ad essere Akash, vuoto, spazio. Sat è l’espressione sottile dell’aria, dell’etere. 

Chit è coscienza, intelligenza, lucidità, chiarezza. Questo aspetto della Verità può essere considerato l’espressione sottile del fuoco, del calore del corpo, della capacità di elaborare il cibo, di trasformarlo in energia. 
Ananda è la beatitudine, la gioia,  amore incondizionato sempre nuovo ed eterno. Questa amorevolezza divina potrebbe essere considerata l’aspetto sottile della dolcezza dell’acqua e della terra, la grande madre che dispensa amore senza aspettarsi nulla in cambio. 

Sacchitananda, ecco cosa siamo.
Scritto così, tutto attaccato, perché non sono qualità differenti, ma aspetti di un’unica verità.
Persino i Maestri, nonostante mirabile proprietà di sintesi sempre dimostrata, hanno dovuto impiegare tre parole per definire chi siamo, per poter contenere questo concetto inafferrabile nella mente ordinaria di non ha ancora raggiunto l’illuminazione. 

 

Sono una praticante di Yoga.

Una persona che ha deciso di intraprendere il cammino di realizzazione spirituale e di dedicare ogni sforzo, ogni azione, pensiero, parola, ad incarnare quelli che sono gli insegnamenti, i precetti che stanno alla base di una vita yogica, consapevole che ci saranno infinite cadute su questo sentiero, dopo le quali ogni volta dovrò rialzarmi, perdonarmi, ritrovarmi.
Questa scelta comporta la sfida di un cambiamento profondo nella propria strategia di vita, volgendo il proprio sguardo in direzione opposta rispetto a quella in cui guarda la mente capitalista-colonialista, che caratterizza gran parte della nostra educazione scolastica, familiare e sociale. Vuol dire avere il coraggio di nuotare contro corrente, fare spazio affinché nuove abitudini, virtuose e costruite pazientemente giorno dopo giorno, prendano il posto di quelle nate inconsapevolmente da una mente condizionata.
Come praticante di yoga cerco ogni giorno di essere pronta a guardare la mia luce così come le mie ombre e i miei demoni interiori, senza far finta che non esistano, perché solo trascorrendo del tempo con loro è possibile trasformare, guarire dalle ferite che ci siamo procurati o che ci hanno inferto, che risuonano a volte come vetri rotti nel petto, altre pesano come un polpo scuro avvinghiato al cuore. Queste presenze chiedono di essere viste, non è più possibile ignorarle, a meno che non vogliamo farci del male.
Solo affrontando le ombre posso tornare ad essere presente nella mia esperienza umana, con lucidità e discernimento, per diminuire sempre di più gli attriti interni ed esterni e fluire amabilmente nel corso degli eventi che si susseguono, piacevoli o sgradevoli che siano, cercando di accogliere tutto.
Non si tratta quindi di accettare, nel senso di subire passivamente e con scontentezza, sopportando con l’amaro in bocca, ma di accogliere, offrire uno spazio sempre puro in cui ogni nodo possa essere sciolto, nei tempi e nelle modalità che gli sono proprie, integrandone poi ciò che resta (in ogni processo alchemico il resto non è mai pari a zero) nell’intero, in una nuova armonia.

 

La mente occidentale desidera rassicurazioni, le piacciono i finali felici delle storie, adora l’appagamento dato dalla comprensione cognitiva, vuole spiegare “scientificamente” ogni cosa attraverso formule e numeri che poi diventano protocolli o dogmi. Lo Yoga in realtà è quanto di più distante esista da questa modalità, eppure è al tempo stesso, ugualmente, una scienza esatta e puntuale, che milioni di anni fa era già in grado di descrivere la condizione umana con incredibile e drammatica precisione.
La mente occidentale, ad esempio, trova accattivante e poetico pensare che l’unione a cui fa riferimento la parola “Yoga”, da “yug” (aggiogare, unire) sia quella tra corpo, mente e spirito, ho sentito molte volte durante le pratiche fare riferimento a questa interpretazione. Queste tre entità, però, sono già un’unità, persino nelle persone che per i più svariati motivi soffrono di un disequilibrio su uno di questi piani, essi sono indivisibili. Ci può essere dissociazione ma non separazione. 

L’unione a cui si fa riferimento nello Yoga è quella tra il piccolo e il grande Sé, qualcosa di enorme, spaventoso addirittura, che richiede dedizione e chiarezza d’intenti anche solo per entrare in contatto con questo obiettivo così alto; una notevole forza di volontà per non perdersi nelle mille distrazioni della dimensione dei sensi.

Essere una praticante di yoga non vuol dire fare posizioni ma usare quelle pose per entrare in un contatto più intimo e profondo con me stessa. Usare lo strumento del corpo fisico, purificandolo, come un accesso privilegiato nei campi più sottili, come quelli della psiche, per vederne i limiti, i condizionamenti, le strategie di evitamento che ogni giorno mettiamo in essere per non guardare chi siamo davvero.
Essere una praticante di yoga vuol dire immergersi nella radice più antica di questa scienza, che non riguarda solo il corpo fisico ma la mente. Così come nella pratica degli asana si usa il corpo fisico per trascenderlo, allo stesso modo la mente osserva sé sessa attraverso tecniche specifiche, per poter trascendere e andare oltre il pensiero e il mondo delle dualità.


Siamo tutti dentro a questa grande illusione, nessuno escluso. 
La pratica dello yoga porta a guardare in faccia alle menzogne che ogni giorno, coscientemente o meno, ci raccontiamo per dirci che siamo delle brave persone, permette a questo velo di cadere dagli occhi e per questo è necessario non lasciarsi scoraggiare dai veleni che affiorano per primi quando si inizia un percorso di consapevolezza. Bisogna sapere però che, sebbene non si possa dire che essere dei ricercatori spirituali sia una piacevole passeggiata, accanto alle difficoltà e agli ostacoli ci vengono dati doni di inestimabile valore, che fanno di noi le persone più ricche del pianeta, di una ricchezza che si autoalimenta, una vena aurea che mai più si esaurirà perché quando abbiamo bevuto anche una sola, piccolissima goccia del nettare dello yoga, continueremo a cercare di bere ancora da quella sorgente.
Lo yoga ci porta da tutto ciò che è finitezza verso ciò che è di ordine eterno.
Questo è quello che ho capito e che con umiltà provo a trasmettere a chiunque scelga di praticare con me.